Il vino, fin dalla notte dei tempi, porta con sé originalità e stranezze non sempre attendibili ma alle quali è da sempre piacevole credere

L’Italia – si sa – è un crogiolo di cultura popolare, retaggi contadini, leggende e devozioni che, nella loro assoluta originalità, rendono il nostro Bel Paese unico e inimitabile. Ed è proprio in questo contesto che si inserisce il settore vinicolo, ambito che da sempre ha rappresentato un’importante ispirazione per le pratiche sociali e simboliche. La storia ci illumina.

Il vino, infatti, è collante sociale, ispiratore di convivialità, ricettacolo di simbolismi e, soprattutto in passato, anche rimedio empirico al limite del magico. Approfondiamo…

Capitolo primo: le donne

Il travaso dalle cisterne alle botti e poi alle bottiglie era considerato un’operazione da effettuarsi con cura assolutamente meticolosa, pena il rischio di acetificazione del prodotto finale. Per cui bando alle donne durante il ciclo mestruale, perché considerate “impure”. L’operazione doveva perciò essere effettuata solo ed esclusivamente dagli uomini. Alle donne, invece, veniva affidata la pigiatura, rigorosamente con i piedi e preferibilmente da ragazze giovani e non sposate che, nell’immaginario collettivo, erano simbolo di purezza, condizione indispensabile per preservare il mosto da eventuali impurità.

Capitolo secondo. Il vento

Si ritiene che la secca e fresca Tramontana agevoli il travaso e la filtrazione poiché il vino, trattato in queste giornate, risulta essere più limpido e cristallino. Diversamente dallo Scirocco che, caldo e umido, influirebbe infondendo maggiore torbidità e un sapore ossidato.

Capitolo terzo. La luna

La potatura delle viti doveva avvenire senza mezzi termini con la luna piena, altrimenti il legno dei tralci sarebbe marcito in pochi giorni, compromettendo tutto il raccolto; e il travaso effettuato solo in notti di luna piena, per conferire al vino più limpidezza e maggiore resistenza di conservazione. E l’imbottigliamento? Per ottenere vini frizzanti, al primo quarto di luna, in fase di luna crescente; e all’ultimo quarto, in fase di luna calante, per ottenere i vini a lungo invecchiamento.

Capitolo quarto. A tavola

Durante la vendemmia, parte del mosto veniva utilizzato per produrre il vino cotto, usato alla stregua di una salsa per dolci fatti in casa, come intingolo per tozzi di pasta fritta e – udite udite – addirittura mescolato alla neve per ottenere una sorta di granita. Inoltre, era considerato un compagno di mensa insostituibile per le persone anziane, in quanto considerato il “bastone della vecchiaia”.

Capitolo quinto. Farmacia

Ebbene sì, chi avrebbe mai immaginato che il vino, in tempi antichi, venisse utilizzato per empiriche e poco ortodosse applicazioni igienico-sanitarie? Qualche esempio? Olio per massaggi, un vero e proprio toccasana contro i dolori osteoarticolari e per ripristinare i corretti equilibri della pelle. E in caso di raffreddore, tosse e sintomi influenzali, via libera a un’infallibile ricetta casalinga che consisteva nel portare ad ebollizione un bicchiere di vino scuro con chiodi di garofano, cannella, buccia di limone e miele. Bevuto prima di andare a letto, assicurava un riposo indisturbato e un risveglio rigenerante. Il vino era considerato miracoloso anche unito alle uova fresche. A volte, il lavaggio delle parti intime con il vino scongiurava il diffondersi di infezioni e concorreva all’eliminazione dei vermi nell’intestino. O almeno così si credeva…

Capitolo sesto. Proverbi

Che ne dite di “meglio puzzare di vino che di olio santo”? Era sinonimo di gioia di vivere e non di imminente trapasso ad altra vita. Oppure “Un buon bevitore prima assaggia l’acqua e poi il vino”. Significa che il vino va consumato con moderazione, non come se fosse acqua o solo per dissetarsi.

Capitolo ultimo. Lo sapevate che?

Lo sapevate che il primo amore di Dioniso, considerato “Dio del vino”, fu un satiro di nome Ampelo? La sua morte prematura riempi così tanto di dolore il povero Dioniso che questi gli concesse una seconda vita sotto forma di tralcio di vite. Da qui, l’ampelografia, la disciplina che oggi si occupa di identificare e classificare le varietà di vitigni, studiandone caratteristiche biometriche e morfologiche della pianta.

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